(Mostra di Ugo Mainetti alla “Galleria Arteuropa” di Milano con presentazione e critica di Luigi Valerio Milano, 1987) Ci troviamo di fronte a un discorso, a un messaggio, come si dice oggi, molto complesso, straordinariamente ricco di problemi, e che non è, quindi, facile da leggere e da decodificare. Nel mondo pittorico dell’artista Mainetti confluiscono tutte le grandi esperienze dell’Arte contemporanea: infatti un vero artista deve saper rappresentare la sintesi della storia dell’Arte fino al proprio momento, sintesi richiesta non solo in questo contesto, ma perfino in quello della Scienza: basti pensare ad Einstein, le cui teorie abbracciano le ricerche della fisica e dell’astrofisica a lui precedenti. È bene che nasca un artista capace di far proprie tutte le tendenze, tutti i movimenti, di sintetizzarli e rappresentarli, di esprimere concetti con forza, con vigore, tipici del linguaggio di Mainetti. Nei suoi dipinti, quelli che predominano sono i linguaggi del Surrealismo, da cui traggono origine le metafore e i simboli utilizzati, e dell’Espressionismo, in modo particolare, dato il vigore con cui l’artista esprime le situazioni, perché più che immagini rappresenta delle situazioni. In questo suo Espressionismo noi troviamo la presenza di tutti i grandi artisti: da Van Gogh, che è stato il primo degli espressionisti, con la sua violenza dei rossi, dei gialli, dei colori primari usati in modo abilissimo e genialissimo, a Munch,famoso autore de “L’urlo”, in cui l’artista rifiuta l’estetismo fine a se stesso, il lezioso, il prezioso, ma vuole rendere la forza espressiva, vuole esprimere ciò che è dentro l’uomo, non l’apparenza, ma la realtà umana nascosta, Conscio e Inconscio insieme, ma prevalentemente Inconscio. Anche Mainetti riesce in questo intento, grazie a un linguaggio metaforico, direi onirico, il linguaggio del sogno, di fatto lui parla di sogno in modo continuo, e risente dell’influenza, direttamente o indirettamente, della Psicanalisi, secondo la quale l’uomo rivela se stesso, i propri desideri nascosti e perfino le proprie angosce, attraverso i sogni. Voi sapete che in Psicanalisi, da Freud in poi, si è parlato di sogno distinguendo due dimensioni: il sogno manifesto e il sogno latente. Il primo, è la parte del sogno che noi, svegliandoci, ricordiamo e sappiamo raccontare ed esporre a chi ci è vicino. Non è esatto affermare che quello manifesto è il vero sogno, perchè è stato accertato che il sogno effettivo è quello latente, quello nascosto, che non riusciamo a ricordare. Noi abbiamo desideri e pensieri che il Superego, cioè la Coscienza morale, non vuole accettare, e che, allora, vengono respinti, repressi: un esempio è costituito dalle immaginazioni erotiche, le quali sono spesso considerate tabù, quindi sono rifiutate dalla Coscienza e spinte nell’Inconscio, zona buia, oscura. Ma quelle, lì non ci vogliono stare, perché sono pulsioni violente, che vogliono entrare nella Coscienza dell’uomo. Per questo si camuffano, si presentano sotto altri aspetti. Allora il linguaggio onirico diventa metaforico e simbolico, proprio quello utilizzato dal nostro artista. L’uomo, però, non riesce a cogliere il disordine che c’è nell’Inconscio, l’assurdo che è presente in esso, per questo non riesce a comprendere il significato profondo dei propri sogni. Ma l’uomo non è fatto solo di razionalità, bensì anche d’istinto, di impulso, di irrazionale, di assurdità, allora nel momento in cui si varca la soglia dell’Inconscio e si entra nella Coscienza, si passa per il Preconscio, una funzione organizzatrice che toglie tutto ciò che è assurdo nel sogno poiché, tra l’altro, quest’ultimo non conosce il tempo, non conosce lo spazio, non conosce l’ordine, e dà a questo sogno gli elementi propri della logica, del tempo, dello spazio, dell’ordine, e, quindi, ci appare sotto forma di immagini oniriche. Mainetti rende in termini pittorici questo linguaggio onirico, il linguaggio del sogno, ed esprime ciò che è inesprimibile diversamente. Il pittore che rappresenta la realtà oggettiva, la realtà naturale, la imita e la replica, ma esprimere la vita inconscia è difficile, se non quasi impossibile! E allora Mainetti ricorre a questo tipo di linguaggio per imporci con vigore il discorso che lui sente vivo nel proprio intimo e lo fa con una tale violenza, che noi siamo costretti a recepire. Nel quadro intitolato “La morte portata dal vento” vedete la deformazione di un volto umano, che poi è la morte, deformazione che si impone alla nostra attenzione, proprio perchè esce fuori dagli schemi normali. Notevole è la violenza dei colori, giallo, rosso e blu, accordati, peraltro, musicalmente, infatti, da una parte questa violenza dei colori vuole costringere il lettore ad accettare il discorso a tutti i costi, dall’altra parte c’è la seduzione e la magia dell’arte, date dai rapporti cromatici armonici. Ci costringe, dunque, ad accettare il discorso sia attraverso la forza espressiva, sia attraverso le magie del linguaggio, che non dobbiamo necessariamente recepire. Come dicevo prima, nei suoi dipinti ci sono molti altri artisti: possiamo trovare molti punti in comune, ad esempio, con il famoso quadro di Munch, “L’urlo”. Qui vediamo una creatura che non sappiamo definire, non sappiamo dire se è maschio, se è femmina o disumana. È una creatura con i tratti del volto deformati, rappresenta un essere informe su un ponte il cui urlo fa vibrare l’Universo intero, è l’urlo della coscienza umana, l’urlo della protesta, l’urlo dell’angoscia esistenziale, e Munch esprime questa angoscia. Vedete, può sembrare un discorso semplice, eppure è complessissimo.  Io trovo un’affinità anche con un dipinto che ricordo sempre, opera di un surrealista francese, che in Italia è poco conosciuto, dal titolo “La morte di André Breton” (padre del surrealismo, colui che ha tenuto a Battesimo Dalì, Mirò, Maxerne), in cui il senso del mistero e della morte vengono resi grazie ai rapporti assurdi, incongrui, grazie al non-senso dell’esistenza. Se si riflette, l’Arte moderna non cerca il senso, non cerca la logica, cerca l’incongruenza, il non-senso perché la filosofia moderna, da quella di Nietzsche, a quella degli esistenzialisti, afferma che la vita non è tutta logicità, la vita è assurdità, è non-sensi, allora noi dobbiamo cercare la realtà profonda del non-senso e quindi anche della morte. Anzi, l’Esistenzialismo, in modo particolare quello di Eidegger, dice “l’uomo deve vivere per la morte, l’uomo viene dal nulla e ritorna nel nulla”. Voi penserete a quale terrore desta questa concezione fa sorgere, ma ha un rigore tale che bisogna allo stesso tempo accettare. Qui il discorso, però, pittoricamente richiama il gruppo Cobra, cioè l’informale, richiama i segni che suscitano il senso della follia. Voglio sottolineare il fatto che, però, Mainetti nei suoi dipinti non rappresenta la follia facendocela vedere, ma facendocela vivere, sentire attraverso dei segni, che non hanno una forma. Ecco che emerge l’informale di Pollock, in modo particolare. Io ricordo un suo quadretto, Pollock faceva sempre grandi quadri, però ha fatto un quadretto che è anche una forma che non si trova spesso (21×31) e che ha intitolato “L’oceano”: raffigura segni che non mi dicevano niente e io quando mi sono trovato davanti a quest’opera ho fatto fatica. Poi, piano piano, questo quadro mi ha preso ed ho capito che lui non aveva reso il mare, la superficie del mare più o meno mossa, ma aveva reso il mondo scuro e sotterraneo dell’oceano, gli abissi, e questi segni lentamente mi trascinavano come in un gorgo e mi portavano in profondità. Per questo io ho vissuto quest’opera che, devo confessare, all’inizio ho rifiutato; poi sono stato dominato, sedotto, magari anche ingannato, però è uno dei quadri che non dimenticherò mai. Ecco, quindi, che senza descrivere, senza rappresentare niente di preciso, dato che semanticamente non rappresenta niente, riesce a creare questi stati, mette in moto addirittura i meccanismi della fantasia del lettore, del fruitore, come si dice oggi, e siamo noi a crearli. In questo senso possiamo parlare di opera aperta. L’opera aperta è quell’opera che non impone il suo messaggio, che c’è certamente dentro, ma lascia a noi spettatori la possibilità di reagire agli stimoli estetici. I rapporti di colori, la musica stessa che crea, ci costringe a reagire e a inventare, in qualche misura, noi stessi i quadri. C’è un rapporto di collaborazione, cioè il lettore è costretto a dialogare con l’opera e a penetrare nell’opera. Questo faceva Pollock, questo può fare Mainetti. Quindi è opera aperta, nel senso che ognuno di noi può intendere e fruire i suoi quadri, goderli in maniera diversa ma non solo: ognuno di noi, in momenti diversi, lo vede in maniera diversa. Quindi c’è polivalenza di significati. Comunque è certo che Mainetti vuole rendere l’assurdo, l’irrazionale, il mistero della morte, anche il mistero della vita, ma i misteri devono avere sempre una dimensione ermetica. Il suo discorso non è mai scoperto, non si lascia mai capire immediatamente e proprio qui si crea ansia nel lettore, quindi accende la fantasia, accende l’immaginazione, accende l’intelligenza perché deve spiegare e, perciò, questa è una forma d’arte modernissima, perché l’arte del passato chiaramente rendeva la realtà così com’era, così come veniva percepita. Lui la fa uscire dalla sfera della percezione e la pone completamente nella sfera dell’invenzione e nella sfera dell’Inconscio, dove l’uomo è incapace di penetrare, perciò un bell’augurio e tanti saluti.

Prof. Luigi Valerio.